Ville e bed & breakfast con i soldi dell’8 per mille: l’ex vescovo di Trapani Miccichè nella bufera
La Procura indaga sul patrimonio di Miccichè. Spariti due milioni di euro destinati alla diocesi
Del progetto per la riabilitazione dei detenuti non c’è traccia, e neanche della struttura di assistenza ai disabili mentali. Il sostegno della Caritas da 100mila euro all’anno per l’attività delle parrocchie si è perso per strada e il contributo da 70mila al centro di accoglienza per migranti di Badia Grande non arriva ormai da più di dieci anni. È un fiume di denaro, quasi due milioni di euro provenienti dall’8 per mille destinato negli ultimi tre anni dalla Cei alla diocesi di Trapani, quello che sarebbe finito nelle tasche dell’ex vescovo Francesco Micciché nei confronti del quale la Procura si appresta a chiudere l’indagine che lo vede accusato di appropriazione indebita, malversazione, diffamazione e calunnia nei confronti del suo ex economo, don Antonino Treppiedi, verso il quale aveva cercato di stornare i sospetti per un misterioso ammanco nelle casse della Curia.
L’ipotesi accusatoria dei pm Di Sciuva, Morra e Tarondo coordinati dal procuratore Marcello Viola, dopo le importanti ammissioni dell’ex direttore della Caritas trapanese Sergio Librizzi (nel frattempo condannato a nove anni di carcere per una brutta storia di ricatti e violenze sessuali ai danni di giovani extracomunitari), ha trovato ampia conferma nei riscontri della Guardia di finanza che, seguendo il fiume di denaro uscito dai conti ufficiali dell’8 per mille della Curia trapanese, è riuscita a ricostruire un groviglio di bonifici, giroconti e false fatture che avrebbero consentito all’alto prelato di impossessarsi di grosse somme che avrebbe investito nell’acquisto di appartamenti e ville, a cominciare da quella mastodontica (in parte adibita a bed and breakfast) di Monreale nella quale è andato a vivere insieme alla sorella e al cognato dopo la sua rimozione dall’incarico decisa da Papa Ratzinger in seguito all’apertura dell’indagine nei suoi confronti.
Con Papa Francesco (come dimostrano alcune foto ufficiali e finite agli atti dell’inchiesta) Micciché ha tentato diverse volte un approccio per chiedere – come raccontano indiscrezioni – un incarico e la cittadinanza vaticana che potrebbe sottrarlo alla giurisdizione italiana. L’ultimo incontro è di pochi giorni fa, il 9 dicembre, al termine dell’udienza generale del mercoledì quando tutti i vescovi (e nonostante la rimozione dall’incarico, in attesa della conclusione dell’indagine, Micciché rimane vescovo emerito) senza obbligo di identificazione o di richiesta personale di udienza hanno la possibilità di accedere al pontefice. Dal Vaticano, però, nessuna risposta alla richiesta dell’alto prelato. Una risposta, invece, è giunta ai pm che avevano fatto richiesta di rogatoria internazionale per sapere se Micciché fosse intestatario di un conto presso lo Ior dove effettivamente nella disponibilità del vescovo risulta un deposito di circa 400 mila euro, una cifra consistente che – secondo gli inquirenti – non sarebbe compatibile né con il suo stipendio né tanto meno con la sua situazione patrimoniale personale. Di famiglia estremamente modesta, come avrebbe fatto Micciché a mettere da parte tanta liquidità e soprattutto a fare tanti investimenti immobiliari (oltre alla villa di Monreale, un’altra a Trabia nel Palermitano, e tre appartamenti a Palermo, uno dei quali di particolare valore nella centralissima via Libertà intestato alla giovanissima nipote)? Grazie ai fondi dell’8 per mille, è l’ipotesi accusatoria forte ora dei riscontri della Guardia di finanza che ha seguito il percorso di bonifici partiti dai conti ufficiali della Curia, passati in parte da due ditte edili che avrebbero emesso false fatture per lavori mai svolti pagando poi mazzette in contanti al vescovo o a suoi presunti prestanome, persone che – nonostante risultino come destinatari di quei soldi – non hanno mai avuto alcun rapporto con la Curia. A fronte di questo vorticoso giro di denaro, le verifiche dei pm hanno riscontrato come buona parte delle attività che avrebbero dovuto essere attuate con i fondi dell’8 per mille, così come previsto dai rendiconti ufficiali, non siano mai state effettuate. E d’altra parte che questo fosse il meccanismo con il quale Micciché si sarebbe impossessato dei fondi dell’8 per mille lo ha ammesso nei mesi scorsi anche il sacerdote che per anni è stato suo complice, il direttore della Caritas Sergio Librizzi. In cambio del silenzio sui suoi “rapporti vietati” con i giovani extracomunitari che obbligava a prestazioni sessuali per una buona parola nell’iter di concessione del permesso di soggiorno, don Librizzi aveva acconsentito a firmare al suo vescovo false attestazioni sull’impiego effettivo dei fondi dell’8 per mille.
Un ulteriore tassello a conferma della solidità dell’impianto accusatorio è arrivato dalla pronuncia della seconda sezione penale della Cassazione che ha confermato il sequestro di opere d’arte, quadri, crocifissi di valore e gioielli per quasi due milioni di euro trovati nella villa del vescovo e provenienti da diverse chiese di Trapani.
FONTE: REPUBBLICA.IT