Trapani, imprenditore antiracket in manette. I boss imponevano il suo calcestruzzo
Nel 2006, aveva denunciato alcuni esattori del pizzo. E subito era diventato un simbolo dell’antimafia nella terra del superlatitante Matteo Messina Denaro. In realtà, l’imprenditore Vincenzo Artale – membro dell’associazione antiracket di Alcamo – era in affari con i boss, quelli che contavano veramente. E questa mattina, all’alba, è finito in manette assieme a loro, con l’accusa di tentata estorsione, aggravata dal favoreggiamento a Cosa nostra. Un’indagine dei carabinieri del comando provinciale di Trapani diretto dal colonnello Stefano Russo ha scoperto che Artale avrebbe avuto uno sponsor d’eccezione, il nuovo capo della famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo, Mariano Saracino, anche lui un tempo imprenditore del settore del calcestruzzo, era già stato arrestato una prima volta nel 2000 perché ritenuto vicino a Cosa nostra. Con Artale e Saracino sono state arrestate altre tre persone. Si tratta di Vito Turriciano, Vito e Martino Badalucco, padre e figlio.
“E’ una storia emblematica, questa – dice il procuratore aggiunto Teresa Principato, impegnata nelle indagini per la ricerca del superlatitante della provincia di Trapani, Matteo Messina Denaro – ancora una volta le intercettazioni hanno svelato che l’antimafia di maniera può diventare uno schermo perfetto per mascherare scalate imprenditoriali all’ombra della mafia”. Così, aveva fatto Enzo Artale, un piccolo padroncino di Alcamo, proprietario di una betoniera che all’improvviso diventa il ras del cemento nella provincia di Trapani.
E’ l’ennesimo simbolo dell’antimafia che finisce nel ciclone di un’inchiesta giudiziaria. Artale aveva denunciato per davvero delle richieste di pizzo, ma gli autori erano dei piccoli mafiosi. Quale migliore occasione per accreditarsi come imprenditore coraggio, non perdeva occasione per ribadire il suo credo di sincero antimafioso durante convegni e manifestazioni. Nel maggio scorso, era stato eletto nel collegio dei probiviri dell’associazione antiracket di Alcamo. E intanto continuava a sviluppare affari con i mafiosi.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Alcamo e dal nucleo Investigativo di Trapani, è stata coordinata dai sostituti Francesco Grassi e Carlo Marzella: le intercettazioni hanno svelato la veloce carriera imprenditoriale di Artale nel settore del calcestruzzo, proprio grazie al sostegno dei boss di Castellammare del Golfo. Il suo cemento veniva imposto per lavori pubblici e privati, sarebbe stato utilizzato pure per le opere di ristrutturazione del viadotto Cavaseno di Alcamo, lungo la Palermo-Mazara del Vallo. Chi si rifiutava di utilizzare il cemento dei boss, subiva intimidazioni e minacce.
FONTE: REPUBBLICA.IT