Una Sicilia “giù di tono” all’ultimo Vinitaly. Gli “industriali” del vino hanno abbassato la guardia
Non ha brillato, per come avrebbe dovuto, la Sicilia del vino alla 51^ edizione del Vinitaly. Ottimi i vini proposti, degna la cornice espositiva, non adeguata la comunicazione e assente la promozione: questo in estrema sintesi il consuntivo dell’inviato che ha seguito in modo particolare il Padiglione 2 per Hermes Tv ed il blog Sicilia Wine Food, sotto l’egida della TV Satellitare SKY 879. La troupe, partita per la grande mecca del vino con tanto entusiasmo, dalla prima giornata ha riscontrato una certa aria pesante al Padiglione 2. Dopo ben 19 Vinitaly sulle spalle, l’inviato per ore ha stentato a credere ai suoi occhi. Subito ha compreso che qualcosa non andava. A colpo d’occhio la dependance della Camera di Commercio di Catania affiancata allo storico Padiglione 2, anche se non era di gran gusto, gli aveva fatto pensare in uno sproporzionato aumento delle aziende espositrici. Invece non era così; il padiglione della Sicilia veniva condiviso con gli espositori umbri in quanto era venuto meno il numero dei siciliani. Si è subito accorto che non vi era tanta gente attorno al Padiglione e varcato l’ingresso anche i corridoi erano pressoché vuoti.
Ha pensato che fosse colpa del caro biglietto (80 euro un ingresso, oppure biglietto cumulativo 4 giorni a 120 euro), ma guardando bene si è accorto che mancavano non solo i curiosi della domenica, ma anche gli importatori, i buyers stranieri, i grossisti, i ristoratori, i gestori di locali pubblici, gli enotecari. Ancor peggio mancavano gli opinion leaders, ovvero gli operatori della comunicazione (le troupe giornalistiche, i giornalisti, i cameraman, i fotografi freelance) ben riconoscibili dai pass stampa. Infine al padiglione 2 regnava vi era un opprimente silenzio, non vi era quel rumore di fondo fatto dal chiacchiericcio del pubblico che si incrociava con i rumors delle forme di animazione e di promozione degli anni passati. Assenti “ingiustificati” pure i vip del mondo dello spettacolo e dello sport che un tempo facevano tendenza fra le esposizioni siciliane e si intrattenevano con gli operatori ed i loro ospiti bevendo vino siciliano.
Manca da tre anni e non volevo credere ai miei occhi, tutto era cambiato. Anche la disposizione degli stand lasciava molto a desiderare, disposti senza alcun filo logico con il territorio e le denominazioni d’origine. E, dulcis in fundu, la scarsissima partecipazione degli operatori siciliani alle interessanti conferenze organizzate dall’IRVOS e dall’Assessorato Regionale all’Agricoltura. In un primo momento, non potendo credere a quanto stava accadendo, ha pensato che era tutta colpa della stanchezza accumulata nel viaggio, e si è detto: “domani sarà un altro giorno e si vedrà”. Così purtroppo non è stato. Anche nei giorni successivi non è cambiata l’atmosfera al Padiglione 2, tutto lascia presagire che la mission a Verona si sia rilevata poco foriera di successi. Dai volti cupi degli imprenditori e del loro seguito traspariva rabbia, amarezza e delusione. Stati d’animo negativi, ma sinceri e veritieri, sicuramente molto più dall’insana immagine proiettata da stand avveniristici, da allestimenti strepitosi e da bottiglie lastricate di lamina d’oro.
Unica nota positiva la qualità dei vini proposti e l’incoraggiante aumento dell’export. Nel 2016 la Sicilia è stata una delle dieci regioni top per valore di export di vino. La Sicilia, insieme alla Puglia, è la regione che è cresciuta di più. In ordine di peso percentuale i mercati dove il vino siciliano viene esportato sono gli Usa (18,6%), la Germania (16,7%), la Gran Bretagna (9,4%) e poi Svizzera, Svezia, Canada, Francia, Giappone, Cina e Russia. Usa e Cina sono i Paesi dove l’esportazione è in crescita. Ma fra gli stand del Padiglione dei Vini di Sicilia operatori stranieri non se ne sono visti tanti.
Mi sono sentito un pesce fuori dall’acqua. Non mi riconoscevo più in quella splendida “arena”: dove per anni ho visto, e “toccato con le mani”, l’incontro fra la domanda e l’offerta del vino “born in Sicily”; dove ho sgomitato con decine, centinaia di colleghi per raccontare le gesta dei signori del vino e dei loro capitani d’impresa, di eroici vitivinicoltori in trasferta e di gente che amava confrontarsi per crescere; dove il padiglione trasudava di “sicilianità”, di quella essenza di Sicilia che aveva fatto scoprire al mondo intero il piccolo, grande, continente enologico, come ha sottolineato il professore Attilio Scienza: “è la naturale culla dell’enologia; la terra dove tutto ebbe inizio e da dove si esportò il culto del vino”. Sarà pure poesia… ma questa è questa la linfa vitale di cui si ciba la comunicazione; la stessa “materia magica” che ha fatto crescere l’interesse verso il vino siciliano e che ha fatto scoprire ai produttori isolani il valore aggiunto della bottiglia.
In tre anni il mondo vinicolo siciliano è cambiato. Gli esperti dicono che si è evoluto, che sia diventato professionale. Io mi chiedo se è questo, quello che chiede il consumatore, il bevitore che nel vino siciliano cercava proprio per quel terroir siciliano che era rimasto incontaminato dal “progresso”. Il vino non è Coca Cola. E chi beve vino cerca sensazioni, emozioni, sincerità che difficilmente possono essere garantite dall’industria enologica di oggi, fatta da colletti bianchi che, seppure hanno fatto i Master Universitari e masticano 4 o più lingue, hanno dimenticato le proprie origini. Sono tutti uguali, coniati con lo stampino e messi in riga dietro i budget e gli obiettivi da raggiungere a qualsiasi scopo. Non è questa la Sicilia del vino che ha fatto innamorare il mondo, che ha entusiasmato milioni di wine lover, moltissimi dei quali vengono in Sicilia attratti da una immagine positiva. Se l’evoluzione è questa, il vino siciliano è in pericolo. Si rischia di offuscare l’immagine della vitivinicoltura e, questo Vinitaly lo ha dimostrato in termini di presenze al Padiglione 2. Troppa la freddezza fra gli stand, non si è respirata, in questo Vinitaly, la tradizionale accoglienza siciliana, quella calorosità che il mondo ci invidia. Certe aziende hanno elemosinato persino in vino: degustazioni solo per operatori, anche se non se ne sono visti così tanti. Negli anni passati il Padiglione 2 “vini di Sicilia” era il più visitato, ora ha perso questo appellativo.
Il Vinitaly, tra alti e bassi, si è confermato evento sempre più global con più di 128mila visitatori provenienti da 142 Paesi, fra cui 48mila presenze estere e 30.200 buyers stranieri. Le colpe della scarsa affluenza al Padiglione Sicilia non sono attribuili tanto meno agli organizzatori dell’IRVOS che in meno di 20 giorni hanno messo su un padiglione efficiente, degno del confronto che avrebbe dovuto ospitare. Quello che è mancato, come sempre, è stata la comunicazione e la promozione delle aziende. Gran parte delle colpe ricadono, infatti, sui produttori che – pur potendo – si sono indegnamente adagiati sugli allori, pensando che il mondo dovesse girare intorno a loro. Ancora una volta la Sicilia del vino non capisce che deve adeguarsi al mondo e non viceversa. I produttori siciliani non riescono ad unire le forze, non fanno sistema, sconoscono abecedario della comunicazione, sanno poco di promozione, non investono in marketing. Come ha detto, in più occasioni, l’assessore all’agricoltura Antonello Cracolici: “chi non sa produrre e non sa vendere, è fuori dal sistema. Che cambi lavoro”. Parole forti, dettate dalla “disperazione” di una miriade di aziende “grandi e piccole”(oltre 800 di cui 60 cooperative) che non riescono a penetrare sui mercati che contano.
Il mondo del vino siciliano non è solo quello “luccicante”dei Rallo di Donnafugata, dei Di Gaetano di Firriato, dei Reina (Ilva di Saronno) della Duca di Salaparuta e della Florio, dei Tumbarello e degli Alagna della Pellegrino, dei Tasca d’Almerita, dei Cusumano, dei Planeta, e di altre famiglie che possono permettersi di comparire sulle riviste di settore e sulle più blasonate guide, attraverso cui piazzare le proprie produzioni nel mondo. Esse rappresentano solo una fetta della produzione, che sicuramente è la meno grossa. C’è anche una Sicilia sicilia che scalpita, il vero zoccolo duro del comparto, quello “verace”, fatto da oltre 800 piccole realtà che ogni giorno investono tempo, denaro e sacrifici sul territorio per produrre vino di qualità.
Fra queste, degne di nota sono, le Cantine Sociali, a filiera cortissima (dal produttore di uve al tavolo del consumatore, senza intermediari) che realmente sono esempio di grande convenienza per rapporto qualità-prezzo. Quest’ultime, dietro la scia della Settesoli di Menfi sono cresciute ed hanno conquistato ampi spazzi sui mercati. E’ il caso della “Colomba Bianca”, della “Cantina Europa”, della “Cantina Paolini che oggi vantano di vinificare gran parte della produzione siciliana, di aver trasformato i vigneti e le aziende per ottenere vini pregiati e di alta qualità; di avere le giuste maestranze per iniziare a cavalcare i mercati.
Negli ultimi vent’anni l’enologia siciliana ha fatto passi da gigante… ed’è tempo che il mondo vinicolo, le istituzioni pubbliche e la politica che elargisce agevolazioni, se ne accorga. Al prossimo Vinitaly, con il rimborso delle spese, che si portino le aziende cooperative ed i piccoli produttori che non possono permetterselo. Non ha senso continuare a sprecare denaro pubblico per consentire inutili passerelle a blasonate case vinicole che stanno perdendo il contatto con il territorio perché credono di avere il mercato in mano. La partecipazione ad eventi fieristici ha senso solo nel momento in cui agli esborsi del denaro pubblico segua un adeguato rientro in termini di: immagine, contatti, trattative commerciali, ordinativi di merce. E’ stato un vero peccato aver sprecato le occasioni dell’ultimo Vinitaly per non essere riusciti ad attrarre il pubblico, ovvero gli operatori commerciali. Ai prossimi eventi fieristici chi pensa che il mondo giri attorno a se, dimostrando solo di non aver capito nulla, che se ne stia a casa, lasciando spazio a chi vuole crescere ed ha voglia di farlo.
Spero che quest’anno la Sicilia possa far valere il suo ruolo di grande produttore di vino. Amo i vini siciliani e credo che meritino più risalto, anche se per fortuna il mercato enologico conferma l’aumento delle vendite anche all’estero. In Sicilia si producono ottimi vini, basta pensare a nomi come Firriato, Donnafugata, Palmento Costanzo, tutte cantine che offrono prodotti di vera qualità. Per non parlare dei vini dell’Etna, sempre più riconosciuti per il valore conferitoli da un terroir unico e introvabile in altri posti. Ho appena acquistato alcune di vini Firriato su un sito che offre una buona selezione di vini siciliani http://www.fratellimazza.it, non vedo l’ora di degustarli con una buona ricetta di pesce.