Processo al frate cappuccino, la vittima: “Mi palpeggiò”
PALERMO – “Stavo male, sentivo voci dentro di me, vedevo ombre nere”, spiega la donna. E così decise di affidarsi a un esorcista. In aula approdano i racconti del demonio.
Signore di mezza età aspettano composte sulla panchina del Tribunale. La borsa tenuta sulle ginocchia con entrambe le mani. Abiti scuri, senza alcuna concessione alla moda. Attendono sedute l’una accanto all’altra in silenzio. Sono mogli e madri, massaie di una vita familiare turbata da una crisi personale e religiosa che faticano a spiegare. Il collegio presieduto da Lorenzo Matassa le invita, una alla volta, a testimoniare, a raccontano il loro incontro con il Maligno.
Sotto processo c’è il frate cappuccino don Salvatore Anello che avrebbe approfittato della loro debolezza per palpeggiarle ed è imputato di violenza sessuale. Prima di lui, in un altro processo, è stato condannato a sei anni e due mesi l’ex colonnello dell’esercito Salvatore Muratore.
L’inchiesta è iniziata nell’aprile 2016, dopo la denuncia di due minorenni e della madre. L’ufficiale faceva parte di un gruppo di preghiera e si sarebbe spacciato per guaritore esorcista. Secondo le indagini, avrebbe convinto le due donne di essere possedute dal demonio, costringendole, in quella che lui definiva una “preghiera di liberazione”, a subite palpeggiamenti. Dalle denunce si è arrivati a identificare anche il frate cappuccino
“Stavo male e ho pensato di farmi aiutare da santa Madre Chiesa – racconta una delle presunte vittime che anche in cura da uno psichiatra – durante la notte vedevo delle sagome. Si muovevano le cose, si accendeva la tv da sola”. E così si affidò al frate. Un guaritore, un esorcista? Il presidente Matassa fa fatica, sulla base della testimonianza, ad inquadrare la figura di Anello.
Le cose, però, non si sistemarono: “Quando andavo in chiesa stavo ancora male. Urlavo, vomitavo. Quando mi avvicinavo un crocifisso sentivo dolori fortissimi, dei bruciori”. Fu indirizzata da una conoscente al gruppo di preghiera: “Mi sono affidata e fidata, era qualcosa più grande di me… il prete rappresentava la figura di Gesù Cristo”. Ed invece, secondo l’accusa, Salvatore Anello, ancora oggi detenuto ai domiciliari, ne avrebbe approfittato: “Mi metteva le mani vicino all’inguine e sul reggiseno. All’inizio mi sono stupita, quando mi ha toccato i glutei mi sono schifata”.
Nessun abuso, sostengono i legali della difesa. La tesi degli avvocati Francesco Bertorotta e Francesco Billetta è che tutto sia il frutto di una psicosi collettiva. Nei momenti convulsi degli esorcismi – o meglio, della preghiera di liberazione – le donne si agitavano in maniera scomposta. Era difficile contenerle. L’inevitabile contatto fisico sarebbe stato scambiato per qualcosa di diverso e molto più grave.
FONTE: LIVESICILIA.IT