Pesca in crisi, urgono strategie per rilanciare il pescato siciliano
La pesca è in crisi, urgono leggi e interventi concreti. Mazara del Vallo, il più importante porto peschereccio del Paese è in agonia: le barche vanno in disarmo per quattro “spiccioli” di rottamazione, gli armatori che resistono sono ormai indebitati fino all’inverosimile e le banche da tempo hanno “chiuso i rubinetti”. Da tempo memorabile non si investe più un centesimo per la pesca in Sicilia. Da 20mila a 7mila e 500 è sceso il numero degli addetti nel settore della pesca; una vera ecatombe. A ridosso di Blue Sea Land, la quinta rassegna internazionale del Distretto della Pesca che promuove il dialogo fra i Paesi e la cooperazione fra i popoli per abbattere ogni frontiera e lanciare la Blue Economy, abbiamo ascoltato, anche, la gente di mare. Ci rattrista apprendere della fine di un comparto marittimo che per decenni è stato il vanto dell’Italia, una sorta di modello esportato nei Paesi rivieraschi dell’Africa e del Medi Oriente.
Ascoltarli e passeggiare lungo le banchine del porto canale, un tempo intasato da centinaia di imbarcazioni variopinte che scaricavano migliaia di cassette di pescato, fa impressione vedere che non c’è più quel trambusto. Quanti attracchi vuoti. Altri sono occupati, ma di imbarcazioni che non andranno più per mare, avvolte dalla ruggine o semi affondate che aspettano il proprio turno per essere demolite. Con loro se ne va una parte di Mazara, quella ricca e prosperosa del pesce, quella che non ha mai fatto differenza di razze, religioni ed etnie. E mentre la gente di mare, coi volti segnati dal duro lavoro, si arrende nella vicina aula consiliare “31 Marzo 1946” si parla di rilancio della pesca, di un nuovo testo unico, di politiche comunitarie lungimiranti, di gestione manageriale del settore, di sistema, di filiera corta, di marketing e promozione… Quante belle parole. Intanto la pesca muore giorno dopo giorno.
“C’è da fare molto, da parte di tutti, ad ogni livello – ha sottolineato Alessandro Iannitti, Dirigente della Direzione Pesca del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali -. La valorizzazione del pescato necessita di investimenti intensi per la grande distribuzione. Come Ministero – ha aggiunto il Dirigente del Mipaf – stiamo lavorando sul Piano Operativo FEAMP che prevede molti interventi nell’ambito della trasformazione, valorizzazione e commercializzazione del prodotto. Occorre incentivare le vendite del pescato locale, poichè oggi sulle nostre tavole si consuma pesce italiano solo per il 30%. La restante parte giunge sui nostri mercati da ogni parte del mondo”. Purtroppo accade tutto il contrario, perchè nel nostro Paese si fanno proclami e si legifera senza ascoltare le istanze degli addetti ai lavori.
Le politiche comunitarie nell’ultimo ventennio hanno equiparato la piccola pesca, quella che opera a poche decine di miglia dalla costa e quella “d’altura” del Mediterranea con il modello oceanico fatta da navi armate per pescare tonnellate di pesce. Di contro – sarà vero che il Mediterraneo negli anni si è impoverito – sono arrivate misure sproporzionate, tese a ridurre il pescato con limitazioni insopportabili per la categoria, nessun incentivo per l’ammodernamento della flotta. L’aumento dei costi di gestione delle barche e degli equipaggi come un cappio al collo hanno spinto gli armatori prima ad indebitarsi e poi verso la demolizione delle proprie imbarcazioni per pochi spiccioli.
“Occorre intraprendere un nuovo rapporto con l’Europa – ha sostenuto Marco Affronte, membro della Commissione Pesca del Parlamento Europeo -. La marineria deve essere propositiva, deve dettare i tempi e dare i giusti indirizzi alla Commissione, affinchè le nuove politiche della pesca dell’Unione Europea tengano conto delle loro esigenze. In questo contesto diventa prioritario il ruolo del Distretto della Pesca siciliano che da diversi anni opera al fianco della marineria e, ancor più oggi, alla luce del successo delle cinque edizione di Blue Sea Land, per i rapporti che ha saputo intrecciare con le altre marinerie extraeuropee che lavorano nel Mediterraneo. Per il rilancio della pesca occorre una convergenza di intendi e la forza di sorreggerli a Bruxelles affinché questi vengano valutati e diventino oggetto di regolamenti comunitari”.
I nuovi regolamenti comunitari, se realmente intendono ridare dignità ai pescatori, devono essere in grado di tenere conto degli aspetti ambientali e riproduttivi del pesce quanto della sostenibilità economica dell’impresa pesca (costi e ricavi), tenendo conto che nel Mediterraneo operano marinerie provenienti dall’oceano con sistemi di pesca molto invasivi e senza limitazioni o imposizioni. Per cui non si possono penalizzare sempre gli armatori italiani. Seppure la pesca è la sorella povera dell’agricoltura essa rappresenta pur sempre il 2,6% del pil italiano, per cui una concreta risposta alla questione della valorizzazione della pesca del Mediterraneo andrebbe data al più presto.
“La Sicilia, con la sua notevole estensione costiera (1.637 km di cui circa 500 sono le coste delle isole minori) da sola rappresenta il 22% dell’estensione costiera dello Stato italiano – ha esordito Dario Cartabellotta, il dirigente del Dipartimento della Pesca Mediterranea dell’Assessorato Regionale dell’Agricoltura – Qui la pesca, da millenni, rappresenta molto più di trattati, leggi, regolamenti e imposizioni calate dall’alto. Per una grossa fetta della popolazione il mare e le sue risorse ittiche rappresentano tutto il loro mondo. La barca è il bene più prezioso di cui dispongono, in grado di garantire occupazione e reddito alla famiglia. Il Dipartimento della pesca – continua il Direttore Cartabellotta – interpretando in mantra della gente di mare sta cercando di valorizzare e diffondere la cultura della pesca, del pescato, dei pescatori, delle attrezzature dei contesti produttivi e abitativi attraverso l’istituzione di un Registro Identitario della Pesca del Mediterraneo e dei Borghi Marinari. Il pesce e il mare di Sicilia hanno un valore culturale, un vissuto fatto da 120 approdi, 64 tonnare e di innumerevoli borghi marinari che contraddistinguono il paesaggio. Questo tesoro è da custodire e proteggere per valorizzare, ora che finalmente l’Unione Europea ha messo fine alla triste storia della rottamazione delle barche e dei pescatori. Il tutto per poter accrescere il valore aggiunto del pescato siciliano”.
Il Registro Identitario ha lo scopo di identificare, documentare e classificare i saperi e le conoscenze del patrimonio culturale della filiera ittica di matrice mediterranea. Dalla raccolta sui metodi di cattura al censimento dei dati sulle aziende di lavorazione e trasformazione del prodotto ittico, dall’individuazione delle fonti storiche alla cernita delle sagre e dei riti inerenti al mondo della pesca e del mare. E’ il primo passo verso il riconoscimento di un marchio che da un valore culturale porti ad un valore economico. Partire dall’uomo insomma e dal suo saper fare per un risveglio culturale verso il mare attraverso il quale si promuova l’attività economica della pesca in Sicilia. Una programmazione inserita nel FEAMP 2014/2020 che va ad aggiungersi agli strumenti già previsti ed incentivati per la diversificazione del reddito del pescatore attraverso il pescaturismo, l’ittiturismo e la valorizzazione dei Borghi Marinari. Il mare, come la terra, è fonte di vita, habitat naturale per lo sviluppo e la crescita dell’essere umano, patrimonio dell’umanità, va pertanto preservato, difeso e valorizzato per la salvaguardia e rigenerazione delle sue risorse marine.
“A Bruxelles devono capire che la pesca del Mediterraneo non è fatta solo di statistiche e di freddi numeri da far quadrare ad ogni costo, ma di un delicatissimo ecosistema, fatto di centinaia di specie ittiche che convivono da millenni nello stesso mare – ha sostenuto Dario Cartabellotta – . La politica di salvaguardia dei tonni, adottata negli ultimi anni, per esempio, sta mettendo in pericolo sopravvivenza del pesce azzurro di piccola taglia. La catena alimentare è stata compromessa e, mentre il Mediterraneo brulica di tonni i pescatori non solo non possono pescarli ma registrano anche sostanziosi cali nella pesca di molte specie di pesce azzurro. Quindi il danno oltre alla beffa. Bruxelles deve capire che le regole vanno fatto per incentivare equamente l’economia e non devono assolutamente danneggiare solo alcuni comparti come per esempio le limitazioni imposte ai nostri pescherecci in un Mediterraneo vengono a pescare, ogni giorno, da ogni dove. Non si vorrebbe pensare che siano solo dei mezzucci per favorire la pesca nordica, ma quando i dati statistici sostengono che in Italia si consuma per il 70% il prodotto di marinerie straniere, non può che suonare un piccolo campanello dall’allarme”.
E’ pur vero, comunque, che il consumatore compra di tutto e sconosce il pescato locale. La grande distribuzione ormai è invasa da prodotti ittici pescati ovunque, e non solo nelle fredde acque dei mari nordici. Il pancasio vietnamita, le sogliole dell’atlantico, i gamberi argentini, il tonno del pacifico, il pesce spada dell’atlantico, i filetti di pesce persico dai fiumi dell’africa. Il settore soffre la concorrenza sleale del prodotto importato dall’estero e spacciato come italiano, soprattutto nella ristorazione, grazie all’assenza dell’obbligo di etichettatura dell’origine.
“Il settore della pesca ha subito le ripercussioni di pratiche sempre più illegali e nocive per la salute umana – rileva Angelo Corsetti, Direttore di Coldiretti Puglia – quali per esempio l’uso sempre più frequento del “catodo”, un prodotto chimico che, spruzzato sul pesce lo farebbe sembrare fresco, come appena pescato, anche quando invece non lo è magari perché importato dall’estero. La crisi del settore si trascina da 30 anni e ha causato la perdita di posti lavoro e la chiusura di imprese, una “rotta persa” da tempo dal settore con una governance debole ed incapace di gestire una politica di ripresa”.
La frode è in agguato anche sui banchi di vendita in Italia dove più di due pesci su tre provengono dall’estero con il rischio evidente che venga offerto come Made in Italy. Ad oggi l’unico strumento per invertire la crescente dipendenza italiana dall’importazione che ha superato il 70% è rappresentato dall’acquacoltura che, invece, viene penalizzata dalla mancanza di certezze e da una grave assenza di norme che ne consentano lo sviluppo.L’unico rimedio al momento attuabile è quello di valorizzare il pesce pescato e/o allevato nel nostro Paese mediante la creazione di una filiera ittica tutta italiana che tuteli la qualità e l’identità nazionale del prodotto. E allo stesso tempo incentivare la comunicazione.
“La scarsa conoscenza delle specie ittiche – dice il Direttore del Dipartimento Pesca della Regione Sicilia Dario Cartabellotta – ci impone di lavorare sulla promozione al grande pubblico delle eccellenze dei nostri mari. Il Registro Identitario della Pesca del Mediterraneo e dei Borghi Marinari va proprio in questa direzione. Inutile dire che la Sicilia riveste un ruolo di prim’ordine, soprattutto dal punto di vista del cosiddetto pesce povero che, oltre alle qualità nutrizionali e alle straordinarie caratteristiche organolettiche, gode di un rapporto qualità-prezzo a tutto vantaggio del consumatori. Stiamo pensando ad istituire percorsi didattico ed educativi sul tema della cultura del mare, della pesca e dei suoi prodotti con diversi obiettivo: stimolare la curiosità tra i partecipanti, promuovere equilibrati stili di vita, diffondere corrette abitudini alimentari, contribuire alla crescita della richiesta di prodotto a chilometro zero. Contestualmente li renderemo compartecipi nella preparazione di ricette a base di pesce e piatti tipici che i tutor illustreranno dal vivo. Attraverso gli show coking durante i quali saranno offerti assaggi di pesce fresco, eccellenza dei nostri mar, – conclude Cartabellotta – faremmo capire ai consumatori la differenza che passa fra un prodotto a chilometro zero ed uno simile proveniente chissà da dove. L’obiettivo è quello promuovere l’acquisto di pescato siciliano, aiutando i consumatori ad effettuare acquisti consapevoli, fornendo indicazioni sulla tipologia, la provenienza e la cottura del pesce pescato fresco Made in Sicily”.
Alberto Di Paola