È morto il boss Vito Gondola, ex capo della mafia mazarese
Morte naturale e nel letto di un ospedale per uno degli ultimi boss mafiosi trapanesi più vicino al latitante Matteo Messina Denaro. La potente “cupola” di Mazara si impoverisce dopo la scomparsa avvenuta nella notte di Vito Gondola, 79 anni, inteso Coffa. Matteo Messina Denaro lo aveva messo a capo della mafia mazarese dopo la morte di un altro eccellente mafioso, il padrino Mariano Agate. E a Vito Coffa, Matteo Messina Denaro dopo l’arresto della sorella Patrizia, detta a curta, aveva affidato il compito non solo di reggere il mandamento mazarese, cassaforte di mille segreti di Cosa nostra, ma anche di gestire lo scambio dei pizzini.
Gondola fu arrestato dai poliziotti delle Squadre Mobili di Palermo e Trapani, nell’agosto del 2015, al culmine di una indagine fatta di pedinamenti e intercettazioni. Fu denominata operazione Ermes e gli indagati coinvolti, esponenti delle famiglie di Mazara, Salemi, Castelvetrano, Campobello di Mazara, oggi sono già sotto processo. La posizione di Gondola venne stralciata proprio per i suoi problemi di salute. Per questa ragione era stato scarcerato ed era tornato a casa, da qualche giorno era ricoverato in ospedale, dove è morto stanotte.
Accorto e scaltro, l’anziano capo mafia si scambiava i pizzini da e per il latitante Messina Denaro dando appuntamento ai suoi complici all’occorrenza in sue due masserie, per poi mettersi a discutere sotto alcune pale eoliche così che i rumori dell’impianto rendevano difficoltoso l’ascolto a qualsiasi orecchio indiscreto, investigatori in primis. Ogni volta per darsi appuntamento per scambiarsi i pizzini i poliziotti hanno potuto sentire Gondola al telefono parlare ovviamente di tutt’altro: «ho la sudda pronta» (la sudda non è altro che l’erba che si dà in pasto alle pecore), «ci sono le cesoie da molare», «bisogna tosare le pecore», «il formaggio è pronto da ritirare», «ho attaccato lo spargi concime», «ti ho messo la ricotta da parte, passi più tardi?».
I suoi postini quando parlavano di lui lo appellavano come autista o camion: “Gli dai… gli dai il mio numero…. dove deve venire a scaricare l’autista …non te lo devi dimenticare che lo devi chiamare ……no.. adesso all’una e mezza lo chiamo e glielo dico … chiama tuo zio e gli dici che con il camion giorno 27 non è possibile salire… gli dici… rimandiamo a nuovo ordine ! a nuovo carico… va bene Giovanni…”. E quando invece c’erano pizzini da distribuire la parola d’ordine pronunciata da Vito Coffa era sempre la stessa ”a carrozza arrivau”.
Vito Gondola è un nome pesante nella storia della mafia siciliana. Il suo nome compare in atti giudiziari sin dagli anni ’70, protagonista della stagione dei sequestri compiuti dalla mafia, attraverso la banda Vannuttelli, in accordo con l’eversione di destra, raccontata in un rapporto, rimasto sepolto però per decenni, dell’allora capo della Mobile di Trapani, Giuseppe Peri. Gondola fu coinvolto nei sequestri eccellenti, di Nicola Campisi (1 luglio 1975), di Luigi Mariano (23 luglio 1975) e dell’esattore siciliano Luigi Corleo (17 luglio 1975). Arrestato e condannato in diversi processi, sempre per reati associativi, tornato libero è sempre tornato al suo posto di capo decina e di alter ego del capo del mandamento di Mazara, Mariano Agate. Quando Agate è morto due anni addietro, Vito Coffa ne prese il posto, mandando con un intermediario un messaggio al figlio del defunto, Epifanio, di recente riarrestato, “a te è morto il padre a me è morto un fratello”.
In assenza di nuovi picciotti, è toccato a Gondola prendere i mano le redini della mafia mazarese, lui stesso è stato sentito lamentarsi della mancate nuove affiliazioni, «i cristiani squagghiano senza manco riri nenti», cioè le persone spariscono senza dir nulla. Ma gli ordini erano perentori, la mafia non deve arrendersi: «non è che uno si…. impressiona non deve camminare più … se dobbiamo camminare dobbiamo camminare». Anche dinanzi a pentimenti importanti come quello di Lorenzo Cimarosa, cugino del boss latitante, Matteo Messina Denaro, che da Gondola fu giudicato senza mezzi termini «la sua è una pisciata fora du rinale».
di Rino Giacalone per lastampa.it