Mafia, sequestrati beni per svariati milioni al mercante d’arte Becchina. Un collaboratore: “Messina Denaro voleva rubare il Satiro”
L’arte mette ancora una volta nei guai il cerchio magico di Matteo Messina Denaro, il boss di Cosa nostra trapanese latitante da 24 anni. La Direzione Investigativa antimafia (Dia) di Trapani, agli ordini di Rocco Lopane, sta eseguendo il sequestro anticipato dell’intero patrimonio mobiliare, immobiliare e societario riconducibile a Giovanni Franco Becchina, noto commerciante internazionale d’opere d’arte e reperti di valore storico–archeologico. Impossibile quantificare il valore.
Becchina, originario di Castelvetrano (Trapani), dove la famiglia Messina Denaro detta legge, è stato titolare di una galleria d’arte a Basilea (Svizzera) e di imprese siciliane del commercio di cemento, della produzione e commercio di prodotti alimentari e olio d’oliva, esportato con successo soprattutto all’estero. Il provvedimento di sequestro è stato emesso dal Tribunale di Trapani, Sezione penale e Misure di prevenzione, a seguito di una richiesta di applicazione di misura di prevenzione personale e patrimoniale avanzata dalla Procura Distrettuale di Palermo. Secondo la ricostruzione degli investigatori della Dia di Trapani, per oltre un trentennio Becchina avrebbe accumulato ricchezze con i proventi del traffico internazionale di reperti archeologici, molti dei quali trafugati clandestinamente nel più importante sito archeologico della Sicilia (Selinunte) da tombaroli al servizio di Cosa nostra.
La passione per l’arte
A gestire le attività illegali legate agli scavi clandestini sarebbe stato l’anziano patriarca mafioso Francesco Messina Denaro, poi sostituito dal figlio, il latitante Matteo. Secondo alcuni collaboratori di giustizia, ci sarebbe stato proprio Francesco Messina Denaro dietro il furto dell’Efebo di Selinunte, una statuetta di grandissimo valore storico archeologico trafugata negli anni Cinquanta. Lo svolgimento da parte di Becchina di un fiorentissimo traffico internazionale di reperti archeologici, di durata trentennale, è stato attestato nella sentenza emessa il 10 febbraio 2011 dal Gup di Roma.
L’analisi
L’esistenza di cointeressenze economiche tra lo stesso Becchina ed esponenti di spicco della consorteria mafiosa, oltre che dalle dichiarazioni di numerosi e qualificati collaboratori di giustizia (Rosario Spatola, Vincenzo Calcara, il ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra Angelo Siino, Giovanni Brusca) è stata accertata, in via definitiva, dal Tribunale di Agrigento che, al termine del procedimento di prevenzione celebratosi a carico dell’imprenditore mafioso Rosario Cascio, con decreto del 21 giugno 2011 ha disposto, tra l’altro, la confisca della Atlas Cementi Srl, società costituita nel 1987 proprio da Becchina e della quale Cascio era entrato a far parte nel 1991.
Le origini del mercante
Emigrato da Castelvetrano in Svizzera, dopo aver subìto una procedura fallimentare, nel 1976, Becchina a Basilea ha lavorato in un albergo. In seguito ha commerciato in opere d’arte e reperti archeologici, avviando la ditta Palladion Antike Kunst. Già nel 1992, sulla base delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Rosario Spatola e Vincenzo Calcara, che lo indicavano come vicino sia alla famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, che alla famiglia mafiosa di Castelvetrano, per conto della quale avrebbe trafficato reperti archeologici, Becchina è stato indagato per concorso in associazione mafiosa. A metà degli anni Novanta, divenuto ormai un affermato uomo d’affari, è tornato a vivere stabilmente a Castelvetrano, dove ha anche avviato attività economiche ed effettuato rilevanti investimenti.
Gli investimenti
Tra le iniziative siciliane, particolare rilevanza assume la costituzione nel 1987 della Atlas Cementi srl, società di Mazara del Vallo per «l’importazione, la produzione, il commercio all’ingrosso ed al minuto di cemento, lavorazione e trasformazione dei prodotti necessari per l’ottenimento dello stesso, commercio di materiale edile, costruzione di opere pubbliche, la compravendita di immobili e l’esercizio di impresa portuale». A partire dal 1991 nell’Atlas Cementi srl è subentrato come socio di riferimento ed amministratore l’imprenditore mafioso Rosario Cascio, che in breve tempo è riuscito a trasformare quella società in una delle più importanti e redditizie leve economiche dell’intera Sicilia.
La rogatoria
Nell’ambito di tale procedimento sono stati individuati e sequestrati, a seguito di rogatoria internazionale in territorio elvetico, cinque magazzini a Basilea, dove erano custoditi migliaia di reperti archeologici risultati provenienti da furti, scavi clandestini e depredazioni di siti, oltre che un archivio con più di tredicimila documenti (fatture, lettere indirizzate agli acquirenti, immagini fotografiche di reperti, etc.) relativi all’attività di commercio di opere d’arte e reperti condotta da Becchina. Quest’ultimo è stato sottoposto a fermo e, in seguito, a misura cautelare custodiale, ma non è stato condannato, essendo intervenuta la prescrizione.
Parola ai pentiti
Nell’ambito delle indagini sono stati sentiti i collaboratori di giustizia Siino, Brusca e Geraci.
Brusca, in particolare, nel confermare gli interessi economici dei Messina Denaro nel traffico dei reperti archeologici, ha raccontato che fu lo stesso Totò Riina a indirizzarlo dal latitante di Castelvetrano, quando, nei primi anni Novanta, ebbe necessità di procurarsi un importante reperto archeologico, che avrebbe voluto scambiare con lo Stato italiano, per ottenere benefici carcerari per il padre.
A dire di Brusca i trafficanti d’arte legati a Mesima Denaro avrebbero avuto la loro base in Svizzera.
Inoltre, secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia Gerano, a Basilea Matteo Messina Denaro avrebbe voluto avviare alcune attività economiche, impiegando proventi delle attività illecite della famiglia mafiosa.
Sempre a Basilea, secondo diverse risultanze giudiziarie, si sarebbe recato più volte lo stesso Matteo Messina Denaro e altri appartenenti alla sua cosca mafiosa, per acquistare illegalmente armi da guerra.
Il satiro danzante
Il collaboratore di giustizia marsalese Mariano Concetto ha dichiarato di aver ricevuto l’incarico dai vertici del suo mandamento mafioso di trafugare il famoso Satiro danzante, reperto archeologico conservato a Mazara del Vallo. Ad ordinare il furto sarebbe stato Matteo Messina Denaro, che avrebbe poi provveduto a commercializzarlo attraverso canali svizzeri. Poco prima di morire, il collaboratore di giustizia castelvetranese Lorenzo Cimarosa ha parlato dei rapporti esistenti tra Becchina e Matteo Messina Denaro. Informazioni che gli avrebbe riservatamente rivelato Francesco Guttadauro, nipote prediletto (e attualmente detenuto per mafia) della primula rossa di Castelvetrano.
fonte: http://www.ilsole24ore.com