Messina Denaro, la Giustizia mette le mani sul tesoro

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Una foto di Messina Denaro e l’ultimo identikit del boss

Il provvedimento colpisce il gruppo Spallino, pare vicino alla  famiglia di Matteo Messina Denaro con la quale avrebbe  costruito le sue fortune nel settore dello smaltimento dei rifiuti. Contestati rapporti con la Sequestrate dodici società. A Trapani la cassaforte di Cosa nostra, sigilli a un tesoro da dieci milioni di euro

La provincia di Trapani è ormai diventata la cassaforte della nuova mafia che farebbe capo a Matteo Messina Denaro. Dal 2011 sono stati sequestrati beni per quasi cinque miliardi di euro. E le indagini continuano a far emergere patrimoni costruiti all’ombra dei boss: gli ultimi sigilli sono scattati per l’impero di Antonino e Raffaella Spallino, zio e nipote, costruito nel settore dello smaltimento dei rifiuti, un tesoro che vale dieci milioni di euro. I carabinieri del Ros e del comando provinciale di Trapani hanno dimostrato che le fortune delle dodici società di questi imprenditori siciliani si sarebbero sviluppate col sostegno dello zoccolo duro della mafia trapanese, il clan di Castelvetrano, che oggi è il regno dell’imprendibile Matteo Messina Denaro, il padrino ricercato dal 1993 per le stragi di Roma, Milano e Firenze. Le indagini hanno portato al sequestro dei beni per gli Spallino, fra società, 34 immobili e 28 rapporti bancari. Il provvedimento è della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Trapani, presieduta da Pietro Grillo.

dia-carabinieri-trapani-antimafiaL’INCHIESTA: Gaspare Spallino, il patron della famiglia morto nel 2004, era cugino del capomafia Antonino Nastasi, oggi al 41 bis per scontare una condanna ergastolo. Fra i due correvano intensi rapporti economici e societari. Nel 1996, Nastasi viene arrestato e ufficialmente dismette tutte le sue partecipazioni societarie. Ma solo sulla carta, sostengono i carabinieri e i magistrati della direzione distrettuale antimafia di Palermo. Nastasi e la sua famiglia avrebbero continuato a incassare dividendi dalle aziende del gruppo Spallino, che nel tempo sono state impegnate non solo nel settore dei rifiuti, ma anche nell’edilizia, nella produzione di energia elettrica, nella ristorazione e in alcune attività agricole. Negli anni scorsi, gli Spallino erano finiti sotto processo, per due imputazioni di trasferimento fraudolento di valori, con l’aggravante mafiosa, ma ne erano usciti con un’assoluzione e con un provvedimento di non luogo a procedere per prescrizione. La sentenza non ha fermato il procedimento per il sequestro dei beni. Agli Spallino vengono contestati anche rapporti con i Messina Denaro: nel 1991, il boss avrebbe partecipato a una riunione di mafia all’interno di un capannone della “Ecol Sicula srl”, una delle società del gruppo. Una riunione per decidere un omicidio.

Ora, gli Spallino sono accusati di aver realizzato in contrada Airone di Castelvetrano un impianto fotovoltaico su un terreno di proprietà di un esponente mafioso: il 50 per cento delle società impegnate nell’operazione (la Modulor Energia srl e la Modulor progettazioni) sono state sequestrate. Altre società sarebbero state invece trasferite in provincia di Reggio Calabria: gli investigatori hanno scoperto che fra i nuovi soci ci sono soggetti collegati alla cosca Aquino di Marina di Gioiosa Ionica, in passato coinvolta proprio con Messina Denaro in un traffico di sostanze stupefacenti con il Sud America.

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I SEQUESTRI: E’ la holding che ruota attorno al superlatitante Messina Denaro. E il valore di 5 miliardi di euro è di certo un dato al ribasso, è l’ammontare dei sequestri effettuati negli ultimi quattro anni da carabinieri, dia, guardia di finanza e polizia. Bisogna ripercorrere i provvedimenti dei tribunali Misure di prevenzione di Palermo e Trapani per comprendere la strategia della holding. Sì, perché, la parola d’ordine di Messina Denaro è diversificare gli investimenti. Anche per evitare eccessivi rischi provenienti dalle indagini, e di questi ultimi tempi si sono fatti davvero tanti.

La holding della mafia trapanese ha investito prima nell’edilizia, poi nella grande distribuzione, poi ancora nel settore dell’energia pulita. Qualcuno ipotizza che non sia tutto frutto di una strategia economico-finanziaria, ma che Matteo abbia solo avuto il carisma di raccogliere attorno a sé tanti imprenditori che erano in cerca di fortuna. E in effetti la primula rossa di Castelvetrano ha trasformato in oro tutte le piccole aziende in cui è entrato. E ha reso ricchi, ricchissimi tutti i piccoli imprenditori che hanno chiesto di essere ammessi alla sua corte.

Così accadde a Vito Nicastri e a Giuseppe Grigoli, trent’anni fa piccoli artigiani: sono diventati il patron del settore eolico da Napoli in giù e il rappresentante siciliano dell’influente marchio Despar. Naturalmente, loro si vantavano di essere dei self made man. La stessa vanteria di Carmelo Patti, il patron di Valtur, o di Rosario Cascio, il re del cemento nella Sicilia occidentale. Anche loro hanno iniziato con una piccola bottega o una minuscola ditta e nel giro di vent’anni sono diventati i signori dell’imprenditoria. A Trapani e nel resto d’Italia. Stessa sorte dei fratelli Spallino.

Bisogna leggere i pizzini di Messina Denaro ritrovati nel covo di Bernardo Provenzano per capire chi sono gli imprenditori soci dell’imprendibile latitante. Grigoli era “il paesano mio”. Così lo chiamava il padrino, che era andato su tutte le furie quando aveva saputo che i capimafia di Agrigento gli avevano chiesto il pizzo per l’apertura di alcuni supermercati a Ribera. Gli affari dei paesani suoi sono oggi la linfa vitale per una latitanza che è diventata sempre più indecifrabile.

fonte: http://palermo.repubblica.it/

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