La Corte dei Conti ha scoperto che la Regione è in mano agli imbecilli. Meglio tardi che mai
Se mi chiedessero di spiegare il declino – politico, economico, culturale – della Sicilia, racconterei della chiusura dell’unica scuola di alta formazione esistente nel Meridione d’Italia, il Cerisdi, nato come naturale erede dell’Isida, anticipatore –a sua volta – della formazione per manager pubblici e privati. La scelta non sarebbe dettata solo dal fatto che mi è toccato di vivere in prima persona – da Presidente del Cerisdi per meno di due anni – il suo tramonto, con grande scoramento per il mio animo esacerbato dalla sordità, ambiguità, indifferenza del governo regionale, che pure mi aveva voluto, ma anche per il significato che quella rinuncia al Centro da parte della Regione, ha avuto, e continua ad avere, in termini di immagine . Confesso che piange il cuore nel sapere che il Castello Utveggio, un luogo d’incanto, sia stato abbandonato a se stesso, a causa dei provvedimenti della Regione, per i prevedibili danni che nel tempo saranno causati dall’assenza di manutenzione.
E’ impossibile spiegare come sia stato possibile disfarsi di un Istituto, nato e cresciuto (con una montagna di quattrini): la Regione siciliana avrebbe potuto utilizzarlo, affidandogli i compiti per i quali il Presidente della Regione, Rino Nicolosi – persona illuminata – aveva voluto che nascesse, invece che sborsare un mare di soldi a favore di enti pubblici (nazionali) e privati, che vivono solo grazie alle commesse pubbliche siciliane.
E’ impossibile, ancora, spiegare per quale ragione la Regione non volesse servirsene e preferisse alimentarlo con contributi nel corso di decenni, costringendo ad una questua annuale gli amministratori dell’Istituto, invece che investire per la formazione dei suoi dipendenti, dirigenti e non.
I contributi sono un male assoluto ovunque. Sempre. Nel nostro caso hanno creato un rapporto di dipendenza reale, ma non istituzionale, fra Regione e amministratori del Cerisdi, obbligati a ingegnarsi di volta in volta per aggiustare i bilanci, e non hanno certo incentivato la qualità dell’attività di formazione, piuttosto la ricerca dell’onorevole o dell’assessore da coinvolgere, il gruppo parlamentare e il partito da “smuovere”.
E’ impossibile spiegare per quale ragione il sindacato, e gli stessi lavoratori (una parte di essi), abbiano creduto più nella possibilità di mantenere comunque il posto di lavoro, a prescindere dalla esistenza in vita del Cerisdi.
Si potrebbe continuare così a lungo con gli enigmi. Il Cerisdi è morto pochi giorni dopo che un centinaio di imprese, siciliane e non, avevano dato la loro piena disponibilità, con manifestazioni di interesse formali, a gestire i vari servizi della Scuola, eliminando tutti i costi di gestione della Regione e lasciando a questa la opportunità di formare i suoi dirigenti, ed i manager pubblici e privati italiani e non.
L’Assemblea regionale siciliana, su input del governo, ha eliminato il contributo di sostegno all’indomani di una strana notizia nella quale lo scrivente è stato sospettato di regalare l’uso delle aulette a propri soci in affari (se ne occuperà l’autorità giudiziaria, su mia richiesta).
Pochi sanno che alla richiesta degli amministratori del Cerisdi di svolgere una gara pubblica per la gestione dei servizi non è stato dato dal governo regionale alcun riscontro, e che l’istanza di modificare “in house” (partecipata) l’Istituto non è stata presa in considerazione.
I soloni di Palazzo d’Orleans hanno affrontato il problema solo sul piano “clientelare”, il passaggio (bocciato dalla Corte dei Conti) dal Cerisdi, liquidato, ad una partecipata regionale, una delle tante tenute in piedi a prescindere dai costi. A binario morto.
Queste considerazioni legittimerebbero qualunque illazione, sospetto, intrigo, e perfino un concorso di responsabilità di quanti hanno permesso, ognuno per la sua parte, che il misfatto venisse compiuto, ma non è questo il punto. L’incultura, madre dell’idiozia, che spiega il declino della Sicilia, ha certificato la sua esistenza grazie ai rilievi mossi dal Procuratore generale della Corte dei Conti, Pino Zingale, il quale ha posto in dubbio la regolarità del passaggio dei dipendenti dal Cerisdi alla Regione, mancando i presupposti per l’assunzione diretta. Se prevalessero i rilievi della Corte avremmo perso la Scuola di Alta formazione senza salvare i posti di lavoro, che costituivano peraltro la voce più pesante del bilancio del Cerisdi.
Se le leggi fondamentali sulla stupidità del prof. Carlo M.Cipolla (“Allegro ma non troppo, Il Mulino), avessero bisogno di essere provate, la Regione avrebbe scodellato un episodio esemplare. Secondo il cattedratico bolognese, di origine siciliana, infatti la stupidità si manifesta con ogni evidenza quando la scelta fatta riesce a provocare grave nocumento a chi la compie ed agli altri, che la subiscono, in un colpo solo. E’la Terza Legge Fondamentale, che così recita: “Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita“. Scetticismo ed incredulità generalmente suscitano il bisogno di conoscere i reali motivi di una decisione “stupida in sé”, ma nel caso in cui non si trovassero, dovremmo arrenderci all’evidenza, sarebbe il nostro caso, indubbiamente.
Il Procuratore Zingale ha messo proprio il dito sulla piaga, anzi sulla stupidità.