Ergastolo per Nicolò Girgenti

Sarebbe stato lui ad aver ucciso il 31 maggio 2016 il maresciallo dei Carabinieri Silvio Mirarchi

“E’ stata cosa giusta” questo ha voluto solo dire, a pochi attimi dalla conclusione della lettura della sentenza, Antonella Pizzo la vedova del maresciallo dei carabinieri Silvio Mirarchi, ucciso in un conflitto a fuoco nelle campagne di Marsala nella sera del 31 maggio del 2016. Urla e pianti e qualche parola fuori posto urlata in aula, sono state le reazioni dei familiari dell’imputato, Nicolò Girgenti, 48 anni, bracciante agricolo e specialista nella gestione delle serre utilizzate come vivai, a cui la Corte di Assise di Trapani , accogliendo la richiesta del pm Anna Maria Sessa, ha inflitto la pena dell’ergastolo, ritenendolo, a conclusione di un processo certamente non facile, il responsabile dell’omicidio. Per i giudici togati e popolari, presidente Grillo a latere Caruso, è lui che quella sera nascosto dentro la serra dove veniva gestita una enorme piantagione di marijuana, ha sparato a due carabinieri, il maresciallo Mirarchi e l’appuntato Massimo Cammarata, il primo ucciso, l’altro rimasto ferito, che stavano facendo ingresso e che avevano gridato il classico altolà dopo avere visto qualcuno muoversi nel buio dentro l’impianto agricolo. La sentenza è stata pronunciata oggi pomeriggio poco dopo le 15,30 nell’aula “Ciaccio Montalto” del Tribunale di Trapani. Nessuno dei presenti ha commentato la sentenza, né il pm Sessa né gli avvocati della difesa. Poche parole, quelle che abbiamo scritto, da parte della vedova, silenzio da parte dei carabinieri presenti a cominciare dal loro comandante provinciale Gianluca Vitagliano. Il legale dell’imputato ha semplicemente preannunciato appello: “durante le arringhe difensive i legali dell’imputato – ricorda il giornalista dell’Agi Marco Bova – avevano parlato di mancanza della prova regina e di criticità’ processuali e nelle indagini anche nell’esame stub”. “Volevano un colpevole e l’hanno trovato”, è stato il commento dell’ex compagna di Nicolò Girgenti. “Un processo difficile dove le parti si sono dati battaglia – ha sottolineato l’avv. Giacomo Frazzitta legale di parte civile della famiglia Mirarchi – parecchio indiziario e quindi sarà ancor più interessante leggere tra 90 giorni le motivazioni”. La Corte di Assise nel disporre i risarcimenti per le parti civili costituite, l’isolamento diurno in carcere per l’imputato condannato, ha anche trasmesso alla Procura di Marsala gli atti relativi alle deposizioni di cinque testi, Vincenza Rosa Abate,Claudia Sciuto, Antonino Angileri, Giacomo Barbera e Simone Magro. Sarà la Procura di Marsala a fare le proprie valutazioni sulle eventuali contestazioni di reato, si tratta di false testimonianze ma anche forse di altri reati. Girgenti fu arrestato dai carabinieri a poche settimane dall’omicidio, il 22 giugno 2016. Sin dai primi giorni immediatamente vicini al delitto Girgenti fu sottoposto ad indagini, fornendo durante un interrogatorio una ricostruzione che i carabinieri definirono «non veritiera rispetto all’esito dei riscontri investigativi». L’uomo è stato anche controllato con intercettazioni telefoniche e nell’immediato i militari dell’Arma lo hanno sottoposto allo stub, un tampone simile al guanto di paraffina analizzato dai Ris di Messina rilevando un alta percentuale di sostanze (nichel e rame) che – secondo i legali dell’uomo – sono riconducibili alle sue attività agricole. Su quella serra gestita per coltivare sostanza stupefacente resta poi l’ombra di Cosa nostra che potrebbe essere dietro questo genere di attività. Numerose sono state nel tempo le piantagioni di marijuana scoperte nel trapanese e durante il processo per il delitto del maresciallo Mirarchi a raccontare questi possibili retroscena è stato il pentito Sergio Macaluso, che ha raccontato di trasferimento dell’attività criminosa da Partinico verso Marsala. Girgenti intanto in precedenza è stato condannato a 30 mesi di carcere per la gestione della piantagione di droga assieme a Francesco D’Arrigo, 55 anni, di Partinico, titolare della serra della serra, a tre anni e mezzo, e a Fabrizio Messina Denaro (nessuna parentela con i famigerati Messina Denaro di Castelvetrano), per lui condanna a tre anni.

Di Rino Giacalone

Fonte: www.alqamah.it

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