Cuffaro ancora in carcere; chi è senza peccato… scagli la prima pietra
Cuffaro ancora in carcere; chi è senza peccato… scagli la prima pietra. Duemila anni orsono chi predicava questo “verbo” fece una “brutta fine”e seppur di acqua sotto i ponti ne è passata veramente tanta l’umanità non sembra essere cambiata. I giustizialisti sono dietro ogni angolo, pronti ad aizzarsi con inaudita violenza contro il malcapitato di turno e se non bastassero i processi di piazza, vi sono pure quelli “politici”, orditi nel nome del Popolo in aule giudiziaria su cui si legge a caratteri cubitali: “la legge è uguale per tutti”. Nella dottrina si, ma nella realtà non sempre nel nostro Paese vige il criterio dell’uguaglianza.
Ed ecco che Totò Cuffaro, il più amato, e allo stesso tempo più “odiato”, fra i Presidenti che la Regione Sicilia abbia mai avuto, rischia di scontare una pena a “vita”. La Cassazione ha respinto la richiesta di sconto di pena per Salvatore Cuffaro che sta scontando nel carcere romano di Rebibbia una condanna definitiva a 7 anni per favoreggiamento aggravato della mafia, nell’ambito del processo “talpe alla Dda”. Prima di natale gli era stato negato pure il servizio sociale in una comunità, perchè non si era redimesso. E non ci stupiremo se, prossimamente, si troverà qualche altro cavillo per prolungare la sua permanenza in carcere. Non è difficile trovare qualche scartoffia “sospetta” o qualche incomprensibile voce gracchiante, magari incomprensibile da far esaminare ad un tecnico, privo di titoli, per imbastire un nuovo processo. Del resto è molto facile colpire una persona in difficoltà accusandolo di “nefandezze” (termine usato dai suoi avversari politici per macchiare il suo passato n.d.r) che non stanno ne in cielo, ne in terra.
Da giornalista, continuo a chiedermi di quali “nefandezze” si sia macchiato Totò Cuffaro, il Governatore che ha risorto il comparto agricolo, rilanciato il turismo, dato decine di migliaia di posti di lavoro; ma soprattutto ha saputo dare una nuova immagine alla Sicilia e nuova dignità ai Siciliani. Cuffaro aveva scoperto la Sicilia al mondo e lanciato la sua economia su ampia scala. In ogni altra parte del mondo sarebbe stato osannato; ma, non in Sicilia, anzi per tale motivo, doveva essere fermato ad ogni costo. In questa terra di nessuno non è permesso ad alcuno di liberarsi in volo. E cosa assai più grave aiutare gli altri a liberarsi da una millenaria schiavitù economica e sociale.
Due erano i sistemi per fermarlo, fortunatamente i “cospiratori” hanno scelto quello più indolore. Ed ecco che in Sicilia migliaia di uomini dello Stato hanno lavorato in incognito per anni, seguendo ogni passo, ascoltando ogni conversazione dell’uomo più potente della Sicilia. Si è creata una vera e propria psicosi, soprattutto fra certi giornalisti che oggi vanno molto di moda, i cosiddetti “giornalisti d’inchiesta” che sono piombati sull’isola a caccia di scoop. E, giorno dopo giorno, scava e riscava, vennero fuori gli elementi per allestire un processo. Ne seguì un secondo ed un terzo, tanto per fare le cose perbene, ma la “condanna”, forse, era stata scritta da tempo. Prima della Sentenza della Cassazione Totò Cuffaro venne messo alla berlina, accusato delle peggiori azioni, abbandonato e tradito anche dai suoi più fedelissimi lacchè. Ed ecco che l’alta Corte pronuncia la condanna tra l’incredulità di chi ha conosciuto questo uomo e la gioai dei suoi avversari politici.
Non ho elementi per entrare nel merito della condanna; se i giudici l’hanno pronunciata avranno avuto buoni motivi suffragati da prove schiaccianti (almeno lo spero n.d.r.). Nessuno potrà mai dimenticare con quanta lucidità ha accolto il verdetto ed il suo commento: ”Rispetto la magistratura, adesso andrò a costituirmi – ha detto Cuffaro, appena uscito di casa per dirigersi al carcere di Rebibbia -. Mi appresto a scontare la mia pena come è giusto che sia”. L’ex governatore ha atteso la sentenza nella sua abitazione in centro a Roma, vicino al Pantheon, dove dopo la sentenza è cominciato un via vai di amici e colleghi. Tra questi, l’avvocato Piero Lipera ha detto prima di scoppiare a piangere: “E’ stato condannato un innocente, senza che sia stata accertata la verità. Prima di essere uno dei suoi legali, sono un cuffariano convinto”. In mattinata Cuffaro aveva passato le ore prima della sentenza raccogliendosi in preghiera nella Chiesa della Minerva. L’avvocato Oreste Dominioni, difensore di Cuffaro in Cassazione insieme a Nino Mormino, ha parlato di “sentenza che desta stupore e rammarico anche perché la Procura della Cassazione, con una richiesta molto argomentata, aveva chiesto l’annullamento dell’aggravante mafiosa per l’episodio di favoreggiamento ad Aiello, richiesta che se accolta avrebbe sgonfiato del tutto la condanna”. La storia politica di Totò Cuffaro è simile a quella del padre putativo, Calogero Mannino, ex Ministro all’Agricoltura la cui carriera politica venne interrotta da una inchiesta giudiziaria aperta nel 1991 che lo portò in carcere e poi all’assoluzione definitiva il 14 gennaio 2010, della Corte di Cassazione. Dopo ben 19 anni!
Vorrei invece soffermarmi a riflettere sul caso Cuffaro, uomo politico da fermare ad ogni costo. E, qui, vi assicuro che la mafia, forse, ha ben poche responsabilità; poichè non posso immaginare che la stragrande maggioranza dell’elettorato siciliano è mafioso: Cuffaro venne eletto Presidente a suffragio universale in Sicilia con il 59% dei voti validi il 17 luglio 2001. Ed è ritornato alla Presidenza della Regione Sicilia il 28 maggio 2006 con il 53% dei consensi. Si parlava di una sua investitura nel Governo nazionale per i meriti conquistati nel campo agricolo ed agroalimentare siciliano. Era l’uomo politico più amato dalla Sicilia e, Lui, con il suo grande carisma non negava un abbraccio, una pacca sulle spalle, qualche parola di conforto ed un bacio a nessuno. Quando lui si spostava davanti e dietro lui cortei di gente gli sbarrava la strada per potergli parlare. Era l’uomo politico più influente delle Sicilia fino alla sentenza che lo ha portato in una cella di Rebibbia dove sconta la sua pena con grande umiltà, senza sconti o premi. A trovarlo, in carcere, sono andati in tanti, fra cui alti esponenti delle istituzioni, della politica e della chiesa; ma non avrebbe mai chiesto aiuto o favoritismi di alcun genere. Forse, nel caso suo, avviene il contrario; visto che i suoi avvocati non sono riusciti ad ottenere alcun beneficio per il loro assistito. Totò Cuffaro, forse, varcherà la soglia di Rebibbia allo scoccare dell’ultimo secondo, come il peggiore tra i criminali. Uscirà comunque a testa alta, e con l’orgoglio di aver scontato la propria pena fino all’ultimo.
Davanti a notizie del genere, pur temendo ripercussioni di ogni genere, non riesco a starmene zitto. Ebbene sì, mi vergogno di essere italiano, di abitare in un Paese dove non esiste la pena certa e dove nel nome della giustizia si combattono spietate guerre politiche. Se Cuffaro deve scontare la sua pena fino all’ultimo secondo (giusto per come lo prevede la Legge), un Brusca (che ha eliminato decine di “nemici”, ha barbaramente trucidato uomini dello Stato e sciolto nell’acido un ragazzino per punire il padre che stava collaborando con la giustizia), giusto per come lo prevede la Legge, quanti ergastoli dovrebbe scontare? Dove sia Brusca non lo so, e non mi interessa saperlo. Mi fa rabbia, comunque, che un relitto della società viva in qualche località segreta una seconda vita sotto falso nome, magari a spese di noi italiani e protetto dallo Stato; quando uno “statista” del calabro di Cuffaro sconta una lunga pena per aver avvisato suo compare della presenza di una intercettazione in corso. La differenza fra i due casi limite: uno si è pentito e lo Stato lo ha accolto “in gloria”, l’altro, Cuffaro, pur dichiarandosi innocente, e chissà magari lo è, marcisce in carcere. Prima di natale, quando si prospettava a metà pena il servizio sociale, a Cuffaro è stato negato perchè lo Stato non lo prevede per chi non si fosse rimesso dai reati commessi. Sarebbe bastato a Cuffaro dichiararsi colpevole, redimersi dei suoi crimini… e, in questo momento, circolerebbe libero chissà da quando tempo. Ma che giustizia è questa?
In un paese che va a catafascio e in una Sicilia che diventa di giorno in giorno sempre più povera, da giornalista non nego che di uomini come Totò Cuffaro ce ne vorrebbero tanti. Dieci, cento, mille…. Totò ti aspettiamo. E, per chi non è d’accordo che scagli pure la prima pietra