Mafia, blitz sull’asse Marsala-Petrosino-Mazara, arrestati 14 fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro

AGGIORNAMENTO ORE 15:00

I Carabinieri hanno diffuso le fotografie dei 14 destinatari delle misure giudiziarie (fermo di indiziato di delitto) emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, diretta dal dott. Francesco Lo Voi. Questa mattina, nei comuni di Marsala e Mazara del Vallo (TP), i Carabinieri del R.O.S. e del Comando Provinciale di Trapani hanno dato esecuzione dei provvedimenti nei confronti di 14 persone indagate per associazione di tipo mafioso, estorsione, ricettazione, detenzione illegale di armi e munizionamento, con l’aggravante del metodo e delle finalità mafiose. Questi i loro nomi: Andrea Antonino Alagna (1979), di Mazara. Alessandro d’Aguanno (1991), di Marsala. Vincenzo D’Aguanno (1960) di Marsala. Calogero D’Antoni (1982) di Marsala. Giuseppe Giovanni Gentile, detto “testa liscia”, (1974) di Marsala. Michele Giacalone (1970), di Marsala. Massimo Giglio (1976) di Marsala.  Simone Licari (1958), di Marsala. Ignazio Lombardo, detto “il capitano”, classe 1971, di Marsala. Michele Lombardo, detto Michelone, classe 1962, di Petrosino. Vito Vincenzo Rallo (1960), Marsala. Alessandro Rallo (1993), Marsala. Nicolò Sfraga, 1966, Marsala. Fabrizio Vinci, 1970, di Mazara.

Il provvedimento costituisce un’ulteriore fase dell’articolata manovra investigativa sviluppata dal ROS, con il coordinamento della Procura di Palermo, per la cattura del latitante Matteo Messina Denaro, mediante il progressivo depotenziamento dei circuiti di riferimento e il depauperamento delle risorse economiche del sodalizio.

Al centro dell’odierno impegno investigativo il mandamento di Mazara del Vallo e la sua articolazione territoriale rappresentata dalla famiglia mafiosa di Marsala, capeggiata dall’uomo d’onore Vito Vincenzo Rallo ed operante secondo le espresse direttive del latitante Matteo Messina Denaro.

Le indagini sull’aggregato mafioso marsalese, dirette dai Sost.ti Proc.ri dott. Carlo Marzella, dott. Pierluigi Padova e dott. Gianluca De Leo, hanno permesso di individuare gli assetti di vertice ed i delitti perpetrati dalla famiglia lilibetana, fornendo importanti elementi sulla sua collocazione baricentrica nelle relazioni criminali tra le province di Trapani e Palermo, nonché rilevanti ed inediti elementi in ordine alla  costante operatività e periodica presenza, in territorio trapanese, del latitante Matteo Messina Denaro.

Le indagini sul mandamento di Mazara del Vallo e sulla famiglia di Marsala.

Nell’ambito della manovra investigativa sviluppata dal R.O.S. per la ricerca e la cattura del latitante Messina Denaro, nel maggio del 2011, veniva avviata un’attività investigativa sul mandamento di Mazara del Vallo, storica roccaforte ed influente realtà di cosa nostra trapanese.

Tale aggregato mafioso, secondo le risultanze dell’odierna indagine, continuava a rappresentare una entità strategica nelle dinamiche criminali d’area tanto da cagionare diretti pronunciamenti dell’indiscusso capo di cosa nostra, Messina Denaro; era, infatti, proprio il latitante, secondo quanto acquisito dalla viva voce degli intercettati, ad impartire cogenti direttive volte al mantenimento degli equilibri mafiosi interni ad una delle più importanti articolazioni territoriali del predetto mandamento, ossia la famiglia mafiosa di Marsala.

L’aggregato criminale lilibetano, capeggiato da Vito Vincenzo Rallo e caratterizzato da pericolose conflittualità interne tra gli affiliati, veniva sostanzialmente pacificato dall’intervento del latitante; nel gennaio 2015 Matteo Messina Denaro, attraverso gli ordini comunicati ai sodali da Nicolò Sfraga (capo decina marsalese e luogotenente di Rallo) e rivelando di fatto la propria presenza nell’area trapanese, minacciava di essere pronto a risolvere manu militari eventuali inosservanze ed inadempienze dei locali uomini d’onore.

La progressione investigativa in direzione dell’area marsalese permetteva di acquisire elementi a supporto dell’esistenza ed operatività di una organizzazione criminale armata che era:

  • caratterizzata da uno stabile e risalente vincolo associativo, ordinata in modo verticistico e capeggiata da Vito Vincenzo Rallo (fratello dell’ergastolano Antonino Rallo inteso “Vito”, già al vertice della medesima articolazione mafiosa), riconosciuto dagli indagati quale indiscusso organo direttivo della famiglia di cosa nostra e giudice delle controversie insorte tra gli affiliati;
  • inserita nel mandamento di Mazara del Vallo ed operante nel territorio del Comune di Marsala (compresa la frazione Strasatti) ed in quello di Petrosino;
  • dedita ad una pluralità di attività delittuose ed operante secondo gli ordini e le direttive impartite dal latitante Matteo Messina Denaro, attuale vertice di cosa nostra

Le attività d’intercettazione (ambientali, telefoniche e veicolari) svolte, supportate dai servizi di video – sorveglianza e dinamici, consentivano, infatti, di individuare con precisione ruoli, gerarchie, dialettiche e controversie della famiglia mafiosa marsalese, nonché di documentarne le relazioni mandamentali e ultra provinciali,dato questo ultimo particolarmente significativo in quanto indicativo della solidità di cosa nostra, intesa come associazione mafiosa a carattere unitario e regionale.

Le indagini, attraverso uno stretto monitoraggio di alcuni affiliati di quella che può essere definita a tutti gli effetti come la decina di Petrosino-Strasatti (segnatamente Michele Lombardo, Vincenzo D’Aguanno ed il figlio Alessandro D’Aguanno), consentivano:

  • di giungere alla identificazione di Vito Vincenzo Rallo, quale indiscusso capo della famiglia mafiosa di Marsala;
  • di individuare il vertice della decina di Petrosino-Strasatti in Nicolò Sfraga, soggetto imposto dal nominato capo famiglia di Marsala ed inviso da altri affiliati, tra i quali Vincenzo D’Aguanno e Michele Lombardo che invece reclamavano il controllo di quel territorio.

Vito Vincenzo Rallo, sempre secondo gli esiti delle operazioni di monitoraggio svolte, manifestava il proprio potere d’imperio:

  • imponendo agli affiliati i propri luogotenenti;
  • programmando l’eliminazione di soggetti scomodi per l’organizzazione (progetti, questi, non realizzati sempre per volere del Rallo);
  • interloquendo con esponenti di paritetiche realtà mafiose della provincia Trapani e di Palermo, svolgendo anche un ruolo di collegamento tra queste due province.

La complessiva analisi delle acquisizioni permetteva di evidenziare come gli associati:

  • profondessero ogni sforzo al fine di ottenere un ferreo e penetrante controllo del territorio da parte dell’organizzazione mafiosa di appartenenza;
  • facessero un ricorso sistematico alla violenza quale strumento per la realizzazione degli obbiettivi dell’associazione;
  • operassero al fine di ottenere un completo assoggettamento alla pratica estorsiva delle varie entità economico-commerciali del territorio;
  • provvedessero a svolgere attività di sostegno e mutua assistenza ai sodali attraverso la distribuzione dei proventi delittuosi.

La decina di Petrosino-Strasatti

Gli elementi raccolti e le dinamiche documentate consentivano quindi di individuare un primo aggregato criminale complessivamente inquadrabile come decina di Petrosino-Strasatti, facente capo alla famiglia di Marsala e composto a sua volta da due sottogruppi di affiliati riferibili:

  • l’uno a Nicolò Sfraga, vero e proprio luogotenente imposto dal capo famiglia marsalese Vito Vincenzo Rallo, che annoverava tra le proprie fila Domenico Centonze, Calogero D’Antoni, Giuseppe Giovanni Gentile e Simone Licari;
  • l’altro a Vincenzo D’Aguanno che, sostenuto da Michele Lombardo, Alessandro D’Aguanno e Andrea Antonino Alagna, seppur sempre sottoposto agli ordini del predetto Rallo, mal sopportava le autoritarie ingerenze di Nicolò Sfraga nell’imposizione di quella che veniva ritenuta un’iniqua spartizione delle risorse economiche del territorio di competenza.

La conflittualità tra i citati schieramenti generava singolari criticità negli assetti associativi, cagionando innumerevoli interlocuzioni tra gli indagati che consentivo progressivamente di delineare la struttura dell’associazione criminale marsalese al cui vertice, come detto sopra, figurava Vito Vincenzo Rallo, che si avvaleva, per esercitare le proprie funzioni, principalmente dell’ausilio del nipote Aleandro Rallo, nonché del fattivo contributo di Massimo Salvatore Giglio e di Michele Giacalone.

Le investigazioni complessivamente svolte permettevano di monitorare le fasi del processo di normalizzazione degli assetti associativi operato da Vito Vincenzo Rallo, attività questa che non era però scevra di momenti di forte tensione, che in alcuni frangenti sembravano poter sfociare in un confronto violento tra le citate fazioni ed inducevano, secondo quando captato nelle conversazioni tra gli indagati, il latitante Matteo Messina Denaro ad effettuare un intervento pacificatore.

In tale ambito si acquisivano, infatti, risultanze di assoluto rilievo in ordine all’allora attuale presenza nel territorio trapanese del latitante Matteo Messina Denaro, che nei primi mesi del 2015, secondo quanto affermato dal capo decina Nicolò Sfraga, impartiva cogenti ordini per il rispetto delle gerarchie interne alla famiglia di Marsala, nonché per il mantenimento degli equilibri mafiosi dell’area.

In tale senso deponevano, infatti, le conversazioni intercettate che facevano inoltre emergere lo svolgimento di veri e propri summit quantomeno mandamentali, volti, tra l’altro, a dirimere le insorgenti conflittualità tra gli affiliati, per garantire il mantenimento di un sostanziale status quo dell’organizzazione criminale.

Tali disposizioni, emanate per preservare i complessivi equilibri di cosa nostra trapanese (sottoposta ad incessanti attività repressive da parte delle FF.PP.), venivano veicolate da Nicolò Sfraga che, il 05.01.2015, si faceva portavoce delle volontà del latitante, incontrando  Vincenzo D’Aguanno nei luoghi sottoposti ad intercettazione.

Infatti, in tale data, Sfraga si recava da D’Aguanno per riferire gli esiti di un summit mafioso, nonché per comunicare gli ordini emanati direttamente dall’indiscusso capo di cosa nostra trapanese, ossia il latitante Matteo Messina Denaro.

Esercitando la nominata funzione di portavoce dei vertici del sodalizio mafioso, Sfraga interloquiva con D’Aguanno:

  • relativamente alla controversia insorta tra quest’ultimo ed il sodale Giacalone Michele, in ragione della spartizione di lavori edili commissionati in contrada Paolini di Marsala;
  • in merito al dissidio che vedeva contrapposti lo stesso D’Aguanno e Lombardo Ignazio inteso “u capitano, già luogotenente dell’ anziano uomo d’onore marsalese Antonino Bonafede.

Nicolò Sfraga, dimostrando piena conoscenza delle dinamiche associative in ragione del ruolo gerarchico ricoperto, sottolineava le aspre critiche esternate dai vertici mafiosi in ordine alle descritte controversie che rischiavano di minare il corretto funzionamento della struttura associativa.

Tali dissidi, seppur di natura locale, avevano cagionato, secondo quanto espressamente sottolineato da Sfraga, un diretto pronunciamento del massimo esponente del sodalizio criminale trapanese, ossia Matteo Messina Denaro.

Queste criticità, infatti, secondo sempre il racconto di Sfraga, erano state lette dal latitante, in quel momento rifugiatosi nell’area trapanese, come un ulteriore possibile minaccia per l’intera associazione, già gravemente colpita da indagini che avevano portato all’arresto di esponenti della famiglia di Castelvetrano, quali Anna Patrizia Messina Denaro, Francesco Guttadauro e Girolamo Bellomo inteso Luca (arrestati nelle operazioni EDEN I e II), nell’ordine sorella e nipoti del latitante.

Secondo Sfraga, il ricercato, seppur pronto a risolvere manu militari le nominate controversie mediante l’eliminazione fisica dei presunti responsabili delle criticità, era stato ricondotto a più miti consigli da non meglio indicati decani del sodalizio criminale che lo avevano portato ad emanare una direttiva che prevedeva un vero e proprio congelamento dei dissidi in atto. La descritta interlocuzione avvenuta tra Nicolò Sfraga e  Vincenzo D’Aguanno forniva, quindi, importanti ed inediti elementi sia in ordine alla presenza di Matteo Messina Denaro nel territorio trapanese, che in merito alle dinamiche di funzionamento del consesso associativo, operante nella citata area territoriale,elementi questi ultimi che trovavano importanti e successivi riscontri nelle dichiarazioni rese dai più recenti collaboratori di Giustizia.

Il capo famiglia Vito Rallo e il ruolo svolto nelle dinamiche mafiose interprovinciali

Per quanto attiene il monitoraggio del vertice della consorteria marsalese ed il suo ruolo di referente d’area, Vito Vincenzo Rallo, a decorrere dalla metà di aprile 2015, emergeva per i rapporti intrattenuti con esponenti di altre articolazioni territoriali di cosa nostra, ascrivibili a momenti di dialettica associativa interprovinciale.

Grazie alle investigazioni in atto si documentava infatti che nel 2015 Ignazio Bruno (reggente della famiglia e del mandamento di San Giuseppe Jato) e Vincenzo Simonetti (consigliere della famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato) si recavano in territorio di Marsala per effettuare diversi riservati incontri con Rallo. In occasione dell’appuntamento del 05.07.2015, allorquando Bruno e Simonetti tornavano ad incontrare Vito Vincenzo Vincenzo, in un terreno sito in agro di Marsala dove il R.O.S. aveva predisposto gli opportuni servizi tecnici, emergeva che gli argomenti affrontati, in particolare da Rallo e Bruno, riguardavano dinamiche associative, che coinvolgevano più mandamenti della provincia di Trapani qualificando, quindi, ulteriormente il ruolo del capofamiglia di Marsala in quell’ambito provinciale.

I profili economico-imprenditoriali delle attività d’indagine

La scelta dell’obiettivo investigativo, sin dalle prime fasi dell’attività, permetteva di documentare sia l’appartenenza all’associazione mafiosa che il peculiare dinamismo economico dell’imprenditore edile mazarese  Fabrizio Vinci.

Vinci, legato tra l’altro al noto uomo d’onore Andrea Manciaracina, si rendeva protagonista delle principali dinamiche imprenditoriali-mafiose del mandamento di Mazara del Vallo in direzione dell’area marsalese.

Vinci, infatti, operando con il supporto di parte degli esponenti di cosa nostra lilibetana, segnatamente Vincenzo D’Aguanno e Michele Lombardo, nonché con il sostanziale beneplacito di Epifanio Agate (figlio del defunto boss mazarese Mariano Agate) e Vito Gondola inteso “coffa” (reggente del mandamento investigato), avviava svariate iniziative economiche volte all’acquisizione di una posizione di sostanziale predominio nel mercato delle forniture di conglomerati cementizi nell’area marsalese (in particolare con l’acquisizione della FOR.EDIL. ed il controllo della Calcestruzzi Romano).

Tale intraprendenza generava e catalizzava le numerose criticità esistenti negli assetti associativi, cagionando innumerevoli interventi mediatori degli affiliati, che disvelano gli apporti economici forniti dal Vinci per garantire il sostentamento del consesso associativo mafioso.

AGGIORNAMENTO ORE 10:00
Questa mattina, nei comuni di Marsala e Mazara del Vallo (TP), i Carabinieri del ROS e del Comando Provinciale di Trapani hanno dato esecuzione ad un fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, diretta dal dott. Francesco Lo Voi, nei confronti di 14 persone indagate per associazione di tipo mafioso, estorsione, ricettazione, detenzione illegale di armi e munizionamento, con l’aggravante del metodo e delle finalità mafiose.

L’intervento costituisce un’ulteriore fase dell’articolata manovra investigativa sviluppata dal ROS, con il coordinamento della Procura di Palermo, per la cattura del latitante Matteo Messina Denaro, che ha già consentito dal 2009 l’esecuzione di 61 provvedimenti cautelari a carico della sua rete di fiancheggiatori.

Al centro dell’odierno provvedimento il mandamento di Mazara del Vallo e la sua articolazione territoriale rappresentata dalla famiglia mafiosa di Marsala, capeggiata dall’uomo d’onore Vito Vincenzo Rallo ed operante, nel 2015, secondo le espresse direttive del latitante Matteo Messina Denaro.

Le indagini sull’aggregato mafioso marsalese – dirette dai Sostituti Procuratori dott. Carlo Marzella, dott. Pierluigi Padova e dott. Gianluca De Leo – hanno permesso di individuarne gli assetti ordinativi e le gerarchie, evidenziando l’operatività di una decina radicata nella frazione marsalese di Strasatti e nel limitrofo comune di Petrosino.

In particolare, le investigazioni hanno consentito di accertare l’esistenza, in seno al sodalizio, di due sottogruppi di affiliati riferibili, il primo, a Nicolò Sfraga, uomo di stretta fiducia del capo famiglia marsalese, il secondo a Vincenzo Daguanno che, malgrado riconoscesse l’autorità di Vito Vincenzo Rallo, risultava insofferente alle ingerenze dello Sfraga nella spartizione delle risorse economiche del territorio di competenza.

La frizione tra i due schieramenti generava criticità negli assetti associativi, con continue interlocuzioni tra gli indagati che consentivano di delineare progressivamente l’intera struttura dell’associazione criminale, permettendo di monitorare le fasi del processo di normalizzazione operato dal Rallo nei momenti di forte tensione che, in alcuni frangenti, sembravano poter sfociare in un confronto violento tra le citate fazioni.

In tale ambito si acquisivano, peraltro, risultanze di assoluto rilievo in ordine al ruolo attribuito al latitante Matteo Messina Denaro, cui è stato ricondotto, nel 2015, un intervento pacificatorio consistito nel richiamo al rispetto delle gerarchie interne alla famiglia di Marsala, rafforzato dalla minacciata eliminazione fisica dei responsabili di tali instabilità.

In particolare, le disposizioni del latitante venivano veicolate da Nicolò Sfraga al capo decina nel corso di una movimentata riunione nel gennaio 2015 quando, nel riferire le volontà di Matteo Messina Denaro, forniva importanti ed inediti elementi sia in ordine alla sua asserita presenza nel territorio della provincia di Trapani, sia in merito alle dinamiche di funzionamento di Cosa nostra marsalese. L’indagine ha documentato anche il ruolo qualificato di Rallo nelle relazioni funzionali, di livello anche ultra provinciale, per la gestione di attività estorsive, in particolare con le articolazioni mandamentali di San Giuseppe Jato (PA).

ORE: 9:40
Mafia, dalle prime ore di questa mattina i Carabinieri del ROS e del Comando Provinciale di Trapani stanno eseguendo un provvedimento di fermo emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, nei confronti di 14 persone indagate per associazione mafiosa, estorsione, detenzione illegale di armi e altri reati, aggravati dalle finalità mafiose.  Al centro delle indagini del ROS la famiglia mafiosa di Marsala, di cui sono stati delineati gli assetti gerarchici.

Sarebbe stata smantellata la cosca che controllava Strasatti e Petrosino e questi sarebbero i destinatari delle misure restrittive (usiamo condizionale in quanto non è ancora arrivato il comunicato ufficiale n.d.r.): Andrea Antonino Alagna (1979), di Mazara. Alessandro d’Aguanno (1991), di Marsala. Vincenzo D’Aguanno (1960) di Marsala. Calogero D’Antoni (1982) di Marsala. Giuseppe Giovanni Gentile, detto “testa liscia”, (1974) di Marsala. Michele Giacalone (1970), di Marsala. Massimo Giglio (1976) di Marsala.  Simone Licari (1958), di Marsala. Ignazio Lombardo, detto “il capitano”, classe 1971, di Marsala. Michele Lombardo, detto Michelone, classe 1962, di Petrosino. Vito Vincenzo Rallo (1960), Marsala. Aleandro Rallo (1993), Marsala. Nicolò Sfraga, 1966, Marsala. Fabrizio Vinci, 1970, di Mazara.

Un imponente schieramento di carabinieri ha preso parte all’operazione – nome in codice – “visir” che si è svolta contemporaneamente nei territori di Marsala e Petrosino, fra case rurali, bagli e trazzere, dove l’oscurità della notte è complice naturale della criminalità organizzata. Oltre all’esecuzione dei provvedimenti, gli uomini dello Stato hanno cercato “Iddu”,  l’uomo che non si trova da 24 anni. Matteo Messina Denaro, il capomafia di Castelvetrano condannato all’ergastolo per le stragi di Roma, Milano e Firenze. L’erede del sanguinario Totò Riina, che conosce i segreti di quella stagione. Sembra essere diventato un fantasma. Di sicuro, continua a godere della protezione di una rete di fedelissimi. E questa notte la procura di Palermo diretta da Francesco Lo Voi ha fatto scattare un provvedimento di fermo per 14 persone, tutte residenti nella zona di Marsala. Perché è in questo scorcio di Sicilia che si sono strette le indagini negli ultimi tempi, grazie ad alcune preziose intercettazioni.

Una prima traccia ha sorpreso nel 2015 due mafiosi di Campobello di Mazara mentre dicevano che Iddu si nasconde nella zona di Marsala. Poi, in un altro dialogo, il capo della famiglia di Marsala sussurra: “Iddu u dissi”. Lui l’ha detto. “Lui” voleva mettere fine a un contrasto che attraversava la cosca di Petrosino. “Iddu u dissi” da che parte stava il torto, e da che parte la ragione. E tutti obbedirono.

Ora, quei due frammenti sono un tassello importante per provare a ricostruire il mistero di una latitanza che dura da troppo tempo. Per investigatori e magistrati, Messina Denaro si sposta di frequente. La rete di assistenza e di protezione è ampia, questo ribadisce il provvedimento di fermo disposto dal procuratore Lo Voi e dai sostituti Carlo Marzella, Pierangelo Padova e Gianluca De Leo, della direzione distrettuale antimafia. E’ scattato un fermo d’urgenza perché dalle intercettazioni sembravano emergere fibrillazioni all’interno della famiglia mafiosa di Marsala. E c’era persino il rischio di un omicidio che doveva avvenire presto per risolvere l’ennesimo contrasto nel clan. Forse, perché adesso “Iddu” è lontano. Chissà.

I PARTICOLARI DELL’OPERAZIONE SARANNO RESI NOTI NEL CORSO DI UNA CONFERENZA STAMPA CHE SI TERRA’, ALLE ORE 10.30 ODIERNE, PRESSO LA SEDE DEL COMANDO PROVINCIALE CARABINIERI DI TRAPANI.

 

 

 

 

 

fonti: carabinieri, repubblica, tp24

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