Bilancio, la Sicilia affonda per volontà del Governo Nazionale
Nel bilancio regionale mancano i fondi del non riconoscimento alla Sicilia dei tributi previsti dallo Statuto
Drammatica la situazione economica della Sicilia, il bilancio rischia il naufragio a causa dei tagli inspiegabili fatti a Roma. Il procuratore generale d’Appello Diana Calaciura ha usato parole forti: “Nei conti della Regione sono pochissime le luci e tante, troppe le ombre”. Ma se la condizione del bilancio siciliano è “inquietante”, per usare le parole del sottosegretario Davide Faraone, molte responsabilità varcano lo Stretto. E possono essere attribuite poprio al governo romano. Che ha tolto, in questi anni, alla Sicilia, risorse che spettano ai siciliani.
Lo dice, senza mezzi termini, e ribadendo il concetto in più passaggi, Licia Centro, relatore sul rendiconto generale per l’esercizo finanziario 2014, l’atto sottoscritto ovviamente anche dal presidente della sezione di controllo Maurizio Graffeo. Lo Stato ha tolto e continua a togliere alla Regione somme che sarebbero utilissime, soprattutto in una fase di grande difficoltà come questa.
“Nel corso del 2014, – scrive il magistrato contabile nel rendiconto – la Struttura di gestione dell’Agenzia delle entrate ha ‘trattenuto’ le entrate riscosse nella Regione per complessivi 585,5 milioni di euro, riversandole direttamente al bilancio dello Stato a titolo di accantonamenti tributari e, per di più, in assenza di qualsiasi comunicazione formale alla Regione. Quest’ultima, in tal modo, non ha potuto ‘accertare’ la medesima somma in entrata e, conseguentemente in uscita – a titolo di concorso alla finanza pubblica – atteso che, nell’ordinamento contabile della Regione, le entrate erariali sono accertate all’atto del versamento. Queste Sezioni riunite, pertanto, – aggiugne – evidenziano come l’operato degli anzidetti Uffici statali, che hanno posto in essere una sostanziale “compensazione per cassa”, abbia realizzato una procedura unilaterale e poco trasparente, che non consente un corretto riscontro al livello di banca dati SIOPE e che mal si concilia con il principio di “leale collaborazione” che deve presidiare i rapporti istituzionali tra Stato e Regione”. Interventi unilaterali, poco trasparenti e poco “leali”. Che hanno impoverito le casse della Regione, già esangui.
“Tale prassi – prosegue infatti il giudice contabile – ha prodotto un duplice ordine di criticità: da una parte, non ha consentito alla Regione di operare in termini di corretta contabilizzazione delle entrate, di talché risulta fuorviante e di difficile comprensione, attraverso il rendiconto, non solo la modalità con la quale la Regione ha contribuito al risanamento della finanza pubblica, ma anche l’analisi della “serie storica” degli accertamenti”.
Non manca, poi, il mancato riconoscimento alla Sicilia dei tributi previsti dallo Statuto. In particolare dall’articolo 37, “che prevede – si legge sempre nel rendiconto – l’attribuzione alla Regione del gettito dell’imposta sul reddito degli impianti industriali e commerciali con stabilimenti ubicati nell’Isola: per l’esercizio 2014, a tale titolo, è stata assegnata la complessiva somma di 50,2 milioni che, tuttavia, non risulta ancora versata dalla Struttura di gestione, né risultano esplicitati i criteri di stima utilizzati dal Mef (Ministero dell’Economia e Finanze) per l’attribuzione di siffatta entrata”. E il giudizio della Corte dei conti nei confronti dello Stato centrale in questo caso è molto chiaro: “Queste Sezioni riunite sottolineano come, ancora una volta, in un momento di affanno finanziario per i conti della Regione siciliana, somme statutariamente spettanti non vengano erogate dai competenti organi statali”.
Oltre al mancato riconoscimento dei tributi spettanti alla Sicilia, poi, ecco l’impatto sulla Regione delle manovre finanziarie nazionali. “Sulle già ridotte risorse erariali, – si legge sul rendiconto – pesano in misura preponderante i tagli subiti per effetto delle pesanti manovre di finanza statale, che hanno determinato disponibilità assolutamente insufficienti a far fronte agli oneri di spesa incomprimibili; nè il sistema economico dell’Isola offre segnali di ripresa della produzione e dei consumi, timidamente registrati in ambito nazionale. Il concorso alla finanza pubblica – prosegue il documento – richiesto alla Regione siciliana per il 2014 ha drenato risorse per complessivi 1.142 milioni, di cui 508,3 milioni sulle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione e 80,6 milioni di euro, quale cessione di spazio finanziario in favore della Regione Puglia”.
Un altro passaggio riguarda un tema molto spinoso e discusso. Ed è quello riguardante la rinuncia del presidente della Regione ai contenziosi con lo Stato, sottoscritto nel giugno scorso. Pochi mesi fa, però, la Corte costituzionale con una sua sentenza ha riconosciuto il diritto della Sicilia a trattenere le somme legate all’aumento delle accise su energia e carburanti fin dal 2011. Una somma, come emerge anche dalla recentissima sentenza, pari a circa 235 milioni l’anno. Soldi che, almeno per gli anni precedenti alla firma dell’accordo, dovevano essere risconosciuti alla Sicilia: “La disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima – spiegano i giudici contabili – risale al 2011, appare evidente che, laddove le entrate spettanti fossero state prontamente restituite alla Regione, quest’ultima avrebbe potuto utilizzarle, nell’ambito della propria autonomia statutaria; invero, le suddette entrate, quantificate forfettariamente e unilateralmente dal MEF, hanno formato oggetto di un più ampio accordo tra il Ministro dell’Economia ed il Presidente della Regione solamente nel mese di giugno del 2014”. La Regione, insomma, ci ha messo molto del suo. Ma lo Stato centrale, da anni, contribuisce pesantemente all’impoverimento della Sicilia.
di Accursio Sabella – http://livesicilia.it