Aziende in odor di mafia infiltrate nell’antiracket. Stop a due associazioni

Imprenditori in odor di mafia si sono messi a fare l’antiracket. Ormai da qualche tempo. Convegni, iniziative, persino premi di poesia. E hanno costituito associazioni. Non è sfuggito alla commissione parlamentare antimafia presieduta da Rosy Bindi, che da mesi indaga sulle infiltrazioni nell’antimafia. A Palermo, ci sono già due casi eclatanti scoperti dal prefetto Antonella De Miro attraverso il certosino lavoro di monitoraggio fatto dalle forze dell’ordine. Nei giorni scorsi, l’associazione “LiberoJato” è stata cancellata dalla lista delle associazioni antiracket della prefettura di Palermo. E un’altra associazione non è stata ammessa. Si tratta di “Libero Futuro – associazione antiracket Libero Grassi Bagheria Valle Eleuterio”. Un terremoto per il movimento antiracket palermitano, perché le due associazioni gravitano nell’area di uno dei leader dell’ultima stagione dell’antimafia, Enrico Colajanni, che ha ormai rotto con Addiopizzo, ed è l’animatore di Libero Futuro.

Eccolo, l’ultimo capitolo dell’indagine della commissione parlamentare antimafia. La corsa di alcuni imprenditori contigui a Cosa nostra verso il traguardo dell’antimafia. Tra i soci fondatori di LiberoJato ci sono i figli di Giuseppe Amato, l’imprenditore edile di Partinico che diede la sua carta d’identità al capomafia Leoluca Bagarella, il cognato di Totò Riina. Amato è stato anche esattore del pizzo per conto dei Vitale di Partinico, ha subito un sequestro di beni, ma ha continuato a gestire le imprese di famiglia intestate ai figli. Poi, all’improvviso, qualche anno fa, Giuseppe Amato è stato folgorato sulla via dell’antimafia, ha denunciato e fatto condannare un esattore del pizzo, in aula disse: «Ho deciso di cambiare vita». Colajanni l’ha sostenuto, teorizzando che bisogna avviare un lavoro con gli «imprenditori border-line » per portarli sulla buona strada. Ma la concentrazione di imprenditori border-line in LiberoJato è diventata sospetta. Forse l’antiracket è diventato un comodo paravento per continuare a fare affari ed evitare sequestri di beni?

La presidente Rosi Bindi vuole vederci chiaro, soprattutto perché alcuni di questi imprenditori border-line sono stati raggiunti da provvedimenti di interdizione per infiltrazioni mafiose da parte della prefettura di Palermo. Ovvero, i contatti equivoci non si sarebbero mai interrotti. La stessa storia di Libero Futuro Bagheria, che chiedeva di entrare nella lista della prefettura di Palermo, la lista che è un lasciapassare per finanziamenti e soprattutto per le costituzioni di parte civile, di questi tempi diventate l’unica attività di tante associazioni (oltreché una macchina mangiasoldi). Fra i soci fondatori di Libero Futuro Bagheria ci sono gli imprenditori Di Salvo, che stavano ristrutturando il palazzetto dello sport di Palermo, poi è scattata l’interdizione della prefettura, che ha rilevato i rapporti con i Virga, imprenditori a cui sono stati sequestrati i beni.

FONTE: REPUBBLICA.IT

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